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Fuga per la libertà, dal palcoscenico di un regime comunista alle strade di una nazione libera. Nel 1961 era stato Nureyev a dare l’esempio, ballerino sovietico che defezionò a Parigi e divenne celebre in tutto il mondo, se non altro per l’importanza del momento in cui decise di fuggire in Occidente, nel pieno della crisi del muro di Berlino. Ai giorni nostri ci sono tanti altri Nureyev di cui si parla decisamente meno. Ma ci sono. È di questa settimana la notizia, ancora poco clamorosa, della defezione di ben sei ballerini classici del corpo di ballo di Cuba.

Approfittando di una tournée a Porto Rico hanno chiesto e ottenuto asilo politico negli Stati Uniti e sono già arrivati a Miami. Mónica Gómez, Ignacio Galíndez e Raisel Cruz sono arrivati a Miami sabato scorso, Jorge Oscar Sánchez, Ariel Soto e Liset Santander li hanno raggiunti lunedì notte. Non è ancora nota l’identità di altri due defezionisti che sono rimasti a Porto Rico e che, probabilmente, ritorneranno a Cuba. Il direttore del balletto classico cubano in esilio, Pedro Pablo Pena, ha spiegato alla stampa che le ragioni della defezione sono economiche ma non solo. Sicuramente anche economiche: a Cuba un ballerino guadagna 30 dollari al mese e niente di più. Ma anche per una vita artistica più libera, per maggiori possibilità di movimento, per opportunità di carriera più promettenti. In poche parole: per vivere nel mondo libero. Raisel Cruz, subito dopo il suo arrivo a Miami, ha definito la sua condizione a Cuba “precaria e frustrante” e ha parlato dell’impossibilità di fare carriera “senza avere amicizie molto dirette con determinati professori”.

E non stiamo parlando di una professione qualunque. Per Cuba, così come per qualunque altro regime comunista, il corpo di ballo, così come le squadre nazionali, sono simboli nazionali, selezionati rigidamente, trattati bene e portati in palmo di mano nel resto del mondo. Per restaurare la scuola nazionale di ballo, appena inaugurata, lo Stato cubano ha speso due milioni di dollari. Non un cosa da poco, in un Paese dove 11 milioni di cittadini versano in condizioni critiche. Il problema è proprio nell’irreggimentazione. Basti pensare che, per la legge cubana, i sei ballerini appena approdati a Miami sono “disertori”, come se fossero militari che hanno abbandonato il loro posto di combattimento. Le leggi di oggi sono già relativamente più liberali e un disertore non può rimettere piede a Cuba per otto anni. Ai tempi di Nureyev l’esilio durava tutta la vita e la sopravvivenza non era garantita: ai disertori più famosi veniva data la caccia, per ammazzarli. In ogni caso, anche un rientro in patria garantisce l’espulsione dai palcoscenici del proprio Paese. I ballerini e le ballerine che scappano all’estero devono rifarsi una carriera nella loro nuova patria. I cubani, comunque, si sono organizzati, hanno la loro rete di appoggio soprattutto a Miami. Il già nominato Pena, per esempio, è dedito alla promozione dei defezionisti negli Stati Uniti, è un manager oltre che un attivista dei diritti umani.

I cubani sono organizzati perché le defezioni sono abbastanza comuni. Appena un anno fa altre sette ballerini (due uomini e cinque donne) erano fuggiti durante una tournée in Messico, per poi raggiungere gli Stati Uniti. Anche in quel caso non si trattava di perseguitati politici. Ramona del Saa, maestra di ballo cubana, aveva allora affermato di considerare una delle ballerine defezioniste “amata come sua figlia”. Non si tratta, dunque, di pregiudizi politici: è Cuba che è invivibile. Anche per quelle che sono considerate le élite professionali del regime.