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Un irlandese a Cuba

Ultimo Aggiornamento: 26/03/2014 14:32
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26/03/2014 14:32
 
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un-irlandese-a-cuba-17Al mattino ci mettiamo in posizione eretta con tutta calma e usciamo a piedi per scoprire un po' Trinidad, che tutti ci hanno descritto come posto molto caratteristico e incantevole. Tutto viene confermato e, sotto una canicola opprimente, ci lanciamo negli innumerevoli vicoli che caratterizzano il paese. Il manto stradale è costituito ovunque da un ciottolato di pietre, e, sia nella piazza principale che nelle labirintiche viuzze, si vedono i segni dell'uragano che ha colpito la zona qualche mese prima.

Molte costruzioni, infatti, sono tenute in piedi e picchettate da robuste travi in legno che arrivano ad occupare quasi tutta la larghezza della calle. Il luogo, comunque, non perde il suo grande fascino, e, temerari, ci tuffiamo nella zona dei mercatini e delle bancarelle, dove manco a dirlo, siamo come miele per le api. Riusciamo a passare quasi indenni con al nostro attivo (passivo) l'acquisto di solo un paio di cappellini e un paio di CD.

Trinidad ci conquista senz'altro, facciamo ritorno a casa e, nel primo pomeriggio, ci rechiamo con le ragazze alla vicina Playa Ancon come d'accordo. Il tempo di un bagno e un po' di solleone, quando giunte circa le 15.00 nel giro di 20 minuti il cielo si fa nero pece e, come il giorno prima, inizia a piovere a dirotto. Facciamo appena in tempo a montare in auto e ad arrivare a Trinidad dove le calles sono praticamente dei veri e propri torrenti in piena.

Lasciamo parcheggiata l'auto lungo il marciapiede ma temiamo addirittura che l'acqua se la possa trascinare via (!?). Rientrati in camera sentiamo fermento appena fuori la nostra porta (che dà su un cortile interno): le due ragazze si sono portate shampoo e bagnoschiuma e si stanno tranquillamente “docciando” sotto la pioggia e sotto la cascata dell'acqua di scolo che scende da un canale rotto. Ovviamente anche lì un rapido scambio di sguardi tra me e Gillo è bastato per tuffarci a pesce e unirci di comune accordo alle ragazze...

un-irlandese-a-cuba-18Così docciati schiacciamo un pisolino rigeneratore in attesa della serata; forse esageriamo un po' e quando ci svegliamo ha smesso di piovere e, esattamente come il giorno prima, è ripiombata nell'aria un'afa insopportabile, ma soprattutto le ragazze paiono essere già uscite.

Ad ogni modo, avendo preso già informazioni, decidiamo quindi di puntare su un'altra discoteca, descrittaci come la migliore della città e forse anche un po' più turistica, ma tant'è. Si trova nei pressi di un centro residenziale chiamato “Las Cuevas” (Le grotte) e commettiamo l'errore di volerci andare a piedi credendola vicina. Il posto infatti è appena fuori del paese e per giunta appena sopra un piccolo colle; in più sembra non esserci il benché minimo “movimento” che possa aiutarci in qualche modo a localizzare il posto. Insomma, riusciamo a trovarlo dopo varie peripezie e ormai già in un bagno di sudore, ma tutto sembra fin troppo tranquillo. Pare comunque che sia aperto e così ci buttiamo.

La discoteca ha un suo nome che non ricordo, ma comunemente viene chiamata “Las Cuevas” appunto, in quanto è ricavata proprio all'interno di alcune grotte dove si deve pure fare attenzione a dove metti i piedi per non scivolare. La formula è “paghi 10CUC, entri e bevi quello che vuoi e quanto ne vuoi” e ti mettono un braccialetto al polso. Superata una scalinata pericolosissima e scivolosa giungiamo infine alla stanza principale dove pompano la musica da un gabbiotto appollaiato in alto tra le rocce. Come temuto il locale è pressoché vuoto e le uniche presenze sono dei gruppi accoppiati che si esibiscono in evoluzioni al ritmo di musica salsa e affini.

un-irlandese-a-cuba-19Non sapendo ballare la salsa e non essendoci ragazze “libere” con cui tentare di intavolare un discorso e/o uno scambio culturale, puntiamo decisamente sull'alcol, anche per sfruttare il più possibile i nostri 10CUC con la formula del “bevi quanto vuoi”. Iniziamo così una sequenza di Cuba Libre, nella speranza, vana, che il locale si riempia. Giunge però l'orario di chiusura e nulla è successo, per cui noi finiamo di buttar giù l'ennesimo Coca&Ron e guadagniamo l'uscita. Al di fuori, si sentono ancora le eco dei bagordi e della musica proveniente dalla città, molto presumibilmente dal posto dove eravamo stati la sera prima. Beh, insomma, quella sera avevamo sbagliato tutto ... capita …

Il mattino dopo ci concediamo un'ultima camminata tra le vie di Trinidad e poi partiamo verso Cienfuegos . Non era nei programmi, ma ci dicono essere una bella cittadina e poi, anche se non dista molti kilometri da Trinidad, ci serve per accorciare un po' il tragitto che giocoforza dovremo fare il giorno 23 per tornare a La Habana e riconsegnare l'auto.


22 agosto – Cienfuegos

un-irlandese-a-cuba-21Percorriamo i non molti chilometri che ci separano da Cienfuegos lungo la suggestiva (paesaggisticamente parlando) strada che rasenta la costa. Il tempo si mantiene nuvoloso ed ogni tanto spruzza qualche goccia di pioggia.
Incontriamo un insolito traffico di auto e di persone che con qualsiasi mezzo percorrono il nostro stesso sentiero, in un senso e nell'altro, ma non assistiamo al tanto pubblicizzato "rituale" del genocidio di granchi che pare proprio lungo questa strada si "immolino alla causa"sotto i copertoni delle auto nel disperato tentativo di fare la spola tra l'acqua e la terra, con le conseguenze suicide che potete immaginare anche per quanto riguarda gli stessi copertoni (per i quali le appuntite chele non sono proprio un toccasana). La leggenda vuole che cotanto scempio di crostacei sul selciato provochi uno sgradevole olezzo, per il quale tale tratto di strada pare essere rinomato.

La carrettera d'ingresso a Cienfuegos è un brulicare polveroso di persone e di mezzi che vanno e vengono e, siccome non riusciamo a orientarci bene circa l'ubicazione della nostra casa particular, ci fermiamo subito a chiedere ad un gruppetto di persone ferme ai bordi con le loro sporte nell'evidente intento di aspettare qualsiasi mezzo passi di lì.

Ci rivolgiamo alla signora che sembra capeggiare il drappello dicendole il nome della via e mostrandogliela anche sulla cartina, alché comincia ad ingaggiarsi tra i componenti del gruppo una sorta di consultazione che sfocia quasi in dibattito, in cui vengono coinvolte anche altre persone appositamente chiamate dalla casa vicina (?!?). In realtà la via che cerchiamo non sembra essere una via secondaria e io e Gillo non riusciamo quindi a capire il motivo di tanto discutere; pare poi che questo verta: 1) sul modo per arrivarci in auto in base ai sensi unici cittadini; 2) chi e quanti di loro debbano salire in auto con noi per indicarci meglio la via o più semplicemente per scroccarci un passaggio.

Dopo svariati minuti di consultazione, la signora decide di rompere gli indugi e salire da sola. Finalmente si parte e, nel breve volgere di due svolte, (cvd!), eccoci arrivati alla strada in questione. Salutiamo e ringraziamo la signora, la scarichiamo e ci dirigiamo verso il nostro numero civico. Si rivela, come immaginato, una delle vie principali, anche se non trafficata, della città, tale Boulevard o Calle 54.

un-irlandese-a-cuba-22Raggiungiamo la nostra dimora, una tranquilla casa particular-villetta con veranda in stile quasi moderno, gestita dall'immancabile dueña e da sua nipote (che stranamente non cerca di appiopparmi). Si fanno quattro chiacchiere in veranda, ci riposiamo sulle sedie sorseggiando un bel refresco ghiacciato e poi decidiamo di lanciarci a piedi per un giro della città.

In fondo alla Calle 54 inizia il centro città e noi ci mischiamo all'incessante viavai di persone abbandonandoci allo "struscio" più bieco. Arriviamo alle soglie del Malecòn (lungomare) cittadino quando, seppur sempre sotto una calura barbina, il cielo comincia a rannuvolarsi e annerirsi in rapido incedere. Memori dei giorni precedenti a Trinidad, decidiamo quindi di riguadagnare l'uscio di casa prima di venire trascinati a mare (o meglio, a oceano) dalle piogge torrenziali e, semmai il tempo dovesse tenere, di uscire poi dopo in auto.

Puntualmente percorriamo gli ultimi metri che ci separano dalla casa sotto la pioggia e quando il tempo si rimette prendiamo l'auto e ci spingiamo fino a Punta Gorda, estremità del Malecòn che da sull'oceano, sede di alcune ville coloniali dalla cui cima si gode un suggestivo mirador (panorama). Peccato che, mentre ci concediamo il giro turistico, il destino si accanisca contro la nostra vettura e mandi "qualcuno" a staccarci un pezzo di plastica della mascherina anteriore, non si sa bene a che pro, vista la sua totale inutilità.

Forse al solo scopo di "farsi la strada" per infilare la mano e prelevare qualche altro pezzo ben più basilare; fatto sta che non deve averne avuto il tempo dato il nostro arrivo.
Accortici dell'accaduto, pensiamo di recarci alla locale centrale di polizia e denunciare il fatto per ottenere un loro pezzo di carta "firmato" che, a scanso di equivoci, ci copra le spalle con la ditta noleggiatrice. Fortuna vuole che la centrale sia proprio sulla stessa via della nostra casa (almeno quello!), solo qualche metro più in la... intanto ha ripreso a piovere (sic!).

un-irlandese-a-cuba-23Arriviamo ed esponiamo il nostro problema al funzionario comodamente seduto alla cattedra che da sull'ingresso, il quale, non ci crederete, ci dice che la persona addetta al momento non c'è perché è in pausa, si sta facendo la doccia, sta mangiando ecc … (è mai possibile che la persona che si cerca sia sempre in pausa a qualsiasi orario della giornata? O siamo davvero noi a essere sfortunati?). Ad ogni modo ci dice di tornare dopo gli ormai proverbiali "20-30 minuti" e, giocoforza, così facciamo.

Con l'animo sempre di chi va a giocare un terno al lotto ritorniamo alla centrale e interpelliamo nuovamente il “pizzardone” di cui sopra (sempre comodamente seduto) che ci dice che la persona è arrivata. Aspettiamo comunque ancora qualche minuto. Dopo cotanta attesa ci attendiamo chissà quale autorità in alta uniforme, grosso almeno quanto me e Gillo messi insieme, e invece ci vediamo scendere dalle scale un ragazzetto molto giovane, pantaloni d'ordinanza, manette alla cinta e una comune e anonima t-shirt bianca, che ci dice di seguirlo. Che delusione!!!

Pare comunque che, nonostante la tenera età, il giovane compañero sia rispettato e che conti veramente qualcosa lì dentro… Ci porta in una stanza scarna, due scrivanie vuote e qualche sedia, gli immancabili quadri degli eroi nazionali alle pareti (Guevara, Cienfuegos, Castro, Martì) e sfodera una macchina da scrivere anteguerra da antologia come ormai non se ne vedono più. Intesta il foglio “Policia Nacional Revolucionaria, Año de la Alternativa Bolivariana para las Americas” e parte a prendere i nostri dati, visionare i nostri documenti e quelli dell'auto e a battere a macchina con fragore la nostra esposizione dei fatti.

Al momento di indicare la targa dell'auto ci accorgiamo che questa non è scritta sul contratto, così Gillo scende per annotarla; nel mentre, il giovane Investigador Judicial mi fa qualche domanda sull'Italia e poi mi interroga circa le mie opinioni su Cuba e il suo governo. La cosa ovviamente mi coglie un attimo in imbarazzo, indeciso sul come dosare le parole (insomma, non si sa mai), ciancico qualche frase di circostanza, quando arriva a togliermi dalla incomoda situazione il veloce Gillo che rientra numero di targa alla mano.

Terminiamo la dichiarazione e il buon Rubén (questo scopriamo essere il suo nome) ci accomiata con una stretta di mano consegnandoci il tanto ambito pezzo di carta, il quale diventa subito per noi un cimelio prezioso di cui ci dispiacerebbe privarci il giorno dopo alla riconsegna dell'auto. Vorremmo farne una fotocopia … il guaio è che non esistono fotocopiatrici!!! Gli faccio allora una foto con la digitale, non è la stessa cosa, ma tant'è.

un-irlandese-a-cuba-24Torniamo in casa, mangiamo anche qui discretamente bene con la cucina della dueña e della nipote e ci docciamo. Gillo, esausto (i giorni di viaggio cominciano ormai a farsi sentire) e in preda ancora ai postumi della "pizza" di Santiago e di malanni vari decide di gettare la spugna per la sera; anche io non sono in piena forma, ma decido di uscire ugualmente da solo. Esco proprio quando arriva il signore (appositamente contattato dalla dueña) che, come da prassi, per 2CUC si siederà tutta notte in veranda a controllarci l'auto parcheggiata proprio lì davanti.

Lo saluto e mi butto nell'oscurità della Calle 54. Arrivo in centro, prendo un taxi e mi dirigo nella disco, pare, più "in" della città, ovvero quella all'interno di un grosso hotel dalle parti di Punta Gorda di cui però non ricordo il nome. Il biglietto si fa proprio alla reception dell'hotel e costa 5CUC, non riesco a capire bene con quante bevande incluse.

Entro, l'ambiente mi ricorda vagamente quello della Casa de la Musica di Miramar a La Habana: uno stanzone con palcoscenico dove si balla, con spiazzo antistante e tutto intorno sedie e tavolini. Provo a ordinare da bere sfruttando il mio presunto "buono" e dopo svariati tentativi il barista mi degna finalmente di considerazione e reclamo le mie bebidas, un cuba libre con un paio di Bacardi Breeze locali. La serata però non decolla, i ritmi non mi trascinano, la stanchezza mi fa invece l'occhiolino e i presenti mi sembrano un po' tutti "gruppetti" a sé stanti, insomma mi sembra quasi di essere in una disco in Italia (anche perché credo siano presenti un buon numero di italiani) e quindi sorseggio le mie bevande osservando l'umanità allegra e spensierata del locale dopodichè guadagno l'uscita.

Prima a piedi e poi in taxi, faccio due chiacchiere con l'autista e torno a casa. La sentinella a guardia della nostra auto è sempre lì seduto in veranda, non si sa bene se sveglio o meno, lo saluto, mi fermo a fare due chiacchiere anche con lui e poi mi rassegno finalmente al letto.


L'indomani facciamo fagotto e a metà mattina partiamo verso la nostra ultima tappa, il ritorno a La Habana, dove la dueña ci ha già riservato una stanza sempre in una casa particular di sua conoscenza, questa volta in posizione molto centrale, nel barrio de La Habana Vieja. Facciamo il nostro ingresso in città e, cartina alla mano e con un paio di indicazioni chieste per strada, raggiungiamo in men che non si dica la nostra meta tra le famose calles O’Reilly e Obispo e proprio di fronte l'altrettanto famoso Floridita, il bar prediletto da Ernest Hemingway nei suoi soggiorni cubani. Fatto sta che, pur avendocelo praticamente di fronte, non vi entreremo mai, forse considerandolo almeno all'apparenza troppo "chic" e turistico.

Gillo ferma l'auto in prossimità del marciapiede ed io scendo a piedi per cercare l'indirizzo della casa e subito La Habana ci mostra il suo aspetto meno tranquillo e compassato rispetto a quello che si respira a Miramar e in parte del Vedado. In quei 10 minuti in cui mi assento per cercare la casa, il buon Gillo, restato rigorosamente ad attender al posto di guida, viene "interpellato" con sapienti tocchetti sul vetro da chi gli vuole vendere sigari, chi gli vuole dare un alloggio, chi gli dice semplicemente che non può parcheggiare lì, chi gli vuole vendere altra chincaglieria più disparata e infine chi semplicemente gli chiede dei soldi. Al mio ritorno all'auto lo trovo già sull'orlo di una crisi di nervi e capiamo subito che, nonostante le "ossa" fatteci ormai in giro per Cuba, La Habana ci metterà ulteriormente a dura prova nei prossimi 4 giorni, e così sarà.

Lasciamo l'auto nel parcheggio custodito del vicinissimo e lussuoso Hotel Plaza, praticamente girato l'angolo, scarichiamo i bagagli e ci dirigiamo alla casa. Suoniamo il campanello, la porta lentamente si apre e mi accorgo di quello a cui non avevo fatto caso prima, e cioè l'avveniristico sistema di apertura: la casa è infatti al secondo piano del vecchio palazzo e la dueña, mancando il citofono, ha tirato, con un complesso gioco di carrucole da far impallidire Archimede, un filo lungo tutti e due i piani che arriva appunto fino alla porta alzando il grilletto che la chiude … non c'è che dire, ingegnoso!

La nostra camera è senza infamia e senza lode ma accettabile, solo il letto a due piazze in realtà si rivela a una e mezza e dovremo sacrificarci un po'. I proprietari sono una coppia di vecchietti con lei che pare gestire tutto con disponibilità ma senza eccessiva espansività verso di noi, e lui per 3/4 sordo che gira in canotta e pantaloncini per casa bastone alla mano (ma il più del tempo è piazzato sul divano d'ingresso).

Preso possesso dell'alcova, usciamo per sbrigare immediatamente la pratica della riconsegna dell'auto, immaginando che, per un motivo o per l'altro, ci impiegherà comunque buona parte della nostra giornata, vista anche la faccenda del danno subito il giorno prima a Cienfuegos. Scopriamo che fortunatamente nell'Hotel Plaza (dove già l’auto è parcheggiata) c'è un ufficio della ditta noleggiatrice e che possiamo quindi riconsegnare lì l'auto e, tempo due minuti a piedi, siamo già lì ma… nell'ufficio lavorano 3 persone, un uomo intento a chiaccherarsela tutto il tempo con la guardia dell'hotel, una donna che passerà buona parte del tempo che staremo lì a "ciaccolare" dei fattacci suoi con non si sa chi al telefono… e la terza? La terza, che ovviamente è quella che cerchiamo noi, indovinate?… dopo alcuni minuti spesi ad aspettare diligentemente seduti ci viene detto che non c'è perché è in pausa e arriverà tra 20-30 minuti!!!!

un-irlandese-a-cuba-26Ormai io e Gillo abbiamo imparato a ridere di queste situazioni e a prenderla con spirito, quindi usciamo e torniamo dopo una mezz'oretta. Al nostro ritorno l'uomo sta sempre parlando con la guardia e… la donna è sempre al telefono!!! Ci vede, ci fa un sorriso complice e interrompe per qualche secondo la sua importante conversazione per dirci di sederci, che la persona addetta arriverà a minuti, dopodichè prosegue nella conversazione telefonica.

Fortunatamente dopo pochi minuti la persona, un uomo corpulento e diciamo anche almeno ben disposto, arriva e sbrighiamo la pratica. Prova comunque a metterci un po' il bastone fra le ruote adducendo il fatto che, avendo cambiato l'auto a Santiago, a lui serve comunque anche il primo contratto originario della Peugeot 206; peccato però, gli spieghiamo più di una volta, che quello ce lo hanno trattenuto i suoi colleghi di Santiago al momento del cambio.

Lui fa una telefonata a Santiago, prova ancora a fare qualche espressione corrucciata, ma si vede che anche lui non è troppo convinto nel volerci ostacolare a tutti i costi e quindi risolviamo la questione. Usciamo allora a controllare l'auto; vede il danno subito a Cienfuegos e non gli da nessuna importanza non volendo nemmeno il foglio della polizia (con nostro vivo piacere visto che così possiamo mantenere l'originale dell'ambito cimelio, ma anche vivo disappunto dopo tutta la fatica e la premura impiegate per ottenerlo). Non vogliamo immaginare cosa sarebbe accaduto se, invece, con lo stesso danno "di nessuna importanza" ci fossimo presentati senza il foglio…

un-irlandese-a-cuba-27Di nuovo appiedati ci rilanciamo alla scoperta de La Habana Vieja e, superato il Parque Central (dove passeremo più volte in quei 4 giorni, luogo di ritrovo e di crocchi sempre caratterizzati da animate discussioni e dove si erge la prima statua di Josè Martì eretta a Cuba), visitiamo il vicinissimo e imponente Capitolio, copia in miniatura del Campidoglio di Washington e il cui interno, si dice, sia impreziosito da pregiati marmi di Carrara.

Tutto intorno il Capitolio si dipana La Habana Vieja, col parco retrostante (ove si svolgono contemporaneamente una partitella di calcio e, pare, una seduta di yoga o roba simile), la vicina Real Fàbrica de Tabacos (sigari) Partagàs, le case insieme fatiscenti e affascinanti e via via tutta la variegata umanità che la caratterizza, ognuna intenta nelle più disparate e improbabili attività: chi ripara un auto che sembra cadere a pezzi, chi ozia su un balcone decrepito, chi sosta sotto qualche portico intento in appassionantissime, agguerrite e chiassosissime partite di Domino, il quale realizziamo essere, insieme al baseball, un po' lo sport nazionale, quantomeno della gente comune.


24-25-26 agosto – La Habana

un-irlandese-a-cuba-28I 3 giorni e mezzo che ci separano dall nostro ritorno in Italia li trascorriamo così, percorrendo in lungo, in largo e pressoché sempre a piedi le vie de La Habana Vieja, Centro Habana e ancora il Vedado e il Nuevo Vedado arrivando a lambire nuovamente la Plaza Revolucion già visitata nei nostri primi giorni cubani. Tra l'altro, buona parte di un pomeriggio la impieghiamo nel percorrere a piedi sotto il sole cocente quasi tutto (o almeno un bel pezzo) il Malècon, solo sfiorato nei primi due giorni al nostro arrivo, dal Castello de la Real Fuerza in zona Plaza de Armas (dove ci fermiamo sulle panchine e visitiamo il famoso mercato dei libri usati che si tiene settimanalmente), passando per il Castillo de San Salvador de la Punta (con alle spalle, separato dal canale d’acqua dello Stretto di Florida, il Castillo de los Tres Reyes del Morro), fino alla zona dei grandi hotels, Melìa Cohìba in testa; da lì rientriamo in città e percorriamo la famosa Calle 23 (o comunemente detta Rampa) che proprio dal Malecòn parte tagliando in due il Vedado, ritornando poi verso Centro Habana prima e La Habana Vieja poi. Tutto questo sempre alla mercè di un sole potente e al ritmo frenetico di refrescos (su tutti, le locali TuCola e TropiCola).

Il "fenomeno", però, che dopo quasi venti intensi giorni sempre in movimento in tutto il resto dell'isola abbiamo imparato a trattare e fronteggiare, a La Habana risulta ovviamente amplificato e non appena mettiamo il naso fuori di casa, mattino pomeriggio o sera che sia, c'è sempre qualcuno che ci offre sigari, un taxi, chicas, di portarci in una discoteca, di bere qualcosa al bar (che vuol dire che TU devi offrire da bere a lui e poi inevitabilmente anche a tutti i suoi amici che, magicamente, troveremo alla caféteria da lui suggerita), soprattutto quando realizzano che siamo italiani in prima visita sull'isola. Nessuno mai è veramente cattivo, violento o maleducato nel farlo ma complici la stanchezza e la non più viva lucidità, diventa un vero e proprio stress mentale che intacca in maniera sostanziale la nostra resistenza psico-fisica e il nostro spirito di iniziativa degli ultimi giorni habaneros.

un-irlandese-a-cuba-29Decidiamo in questo senso di approfittare della vicinanza del Plaza Hotel per farvi in quei giorni colazione e cena, accessibili come prezzi e "sicure", in teoria, da ogni punto di vista. Troviamo comunque gli scontati stimoli per vivere la famosa noche de La Habana. Una sera puntiamo ad una disco lungo il Malècon che sembra andare per la maggiore, tal 1883. È arroccata proprio di fronte all'oceano ma non facciamo in tempo a scendere dal taxi che ci vengono incontro due indigeni con l'aria di chi aspettava proprio noi e ci dicono che il locale è chiuso.

Con nostra viva sorpresa constatiamo che effettivamente è vero, ma il taxi ormai se ne è già andato e così, scoraggiati e ormai refrattari a ogni tipo di reazione, cediamo alle insistenze di uno dei due che millanta di portarci in altre discoteche che conosce lui. Così blocca un altro taxi e cominciamo un giro per le vie buie del Vedado che ci porta in 3 discoteche di cui però una non pare particolarmente allettante e due sono anch'esse chiuse, finché optiamo per la quarta.

Paghiamo come consuetudine ingresso e da bere al nostro amico, facciamo una chiacchierata con lui sorseggiando il nostro cuba libre, balliamo, personalmente dribblo sapientemente un paio di tentativi di dichiarati "adescamenti a pagamento", parliamo anche con un gruppetto di italiani e giunta l'ora usciamo, contrattiamo a lungo con un tassista sul prezzo e ce ne torniamo a casa.

Le altre sere le passiamo prima in una disco fuori del centro chiamata Tunnel (singolare il meccanismo di entrata per la serata, dietro consegna di un documento di identità, per noi il passaporto, agli addetti all'entrata con tanto di banchetto, e successiva chiamata in ordine cronologico di consegna), mentre le altre le spendiamo tranquillamente in altre simil-discoteche, che però non accendono particolarmente il nostro entusiasmo, come detto già parzialmente intaccato.

L'ultimo giorno, il 26, per la prima volta piove ininterrottamente tutto il giorno. Abbiamo l'aereo alla sera e ci concediamo stancamente l'ultima camminata per La Habana Vieja prendendo qualche souvenir al mercatino nei pressi del Castillo de la Real Fuerza. Ripercorrendo la Calle Obispo veniamo fermati da una donna che, menù alla mano e in "alta uniforme", ci invita ad entrare nel ristorante per cui lavora decantandocene le qualità e l'alta cucina. Ci crediamo poco, ma come disse quello scrittore famoso " Poscia, più che 'l dolor, poté 'l digiuno" e così ci fermiamo. La nostra poca convinzione viene subito confermata; nella piccola sala di cui si compone il locale e che dà direttamente sulla strada veniamo affiancati da una tavolata di altri ragazzi che se la ridono allegramente.

un-irlandese-a-cuba-30Ordiniamo due birre Cristal; la stessa donna di prima ci dice che le hanno finite ma che hanno una loro birra locale molto buona, rassegnati accettiamo e ordiniamo da mangiare. Per il piatto di Gillo sembra non esserci problema, mentre per il mio sembra dovrò aspettare più tempo adducendo il fatto che la carne va scongelata e va scaldato il forno (?!?).

Intanto arrivano le birre, che si rivelano una vera porcheria, mentre al tavolo di fianco (arrivati dopo di noi) sono già arrivate pietanze e anche diverse bottiglie di Cristal (comprate dal cameriere nel baracchino di fronte in strada). A quel punto chiedo spiegazioni al cameriere sostenendo che a noi la birra "locale" non piace. Lui si scusa, esce sulla strada, va al baracchino di fronte e compra anche a noi un paio di Cristal e ce le porta. Nel frattempo arriva la donna che con aria timorosa mi dice che per il mio piatto ci vorranno fino a 45 minuti!!!

"Conquistate" le nostre Cristal, torna nuovamente lei che getta finalmente la maschera e mi "consiglia" di prendere anche io quello che ha preso Gillo perché, nonostante il ricco menù millantato, hanno solo quello. Ormai non abbiamo più la forza per reagire, la prendiamo sul ridere e anche la donna ride insieme a noi ma con aria dispiaciuta. C’è molta dignità e complicità nel suo sorriso. Fatto sta che mangiamo, beviamo e salutiamo, mentre la donna ha riguadagnato la sua postazione fuori all'entrata e sta già "adescando" una coppia di turisti brandendo il menù. La saluto, le sorrido come per dirle "ne hai beccati altri due eh?", lei mi risponde con un altro sorriso e riprendiamo la via di casa.

Arriva il momento di andarcene e prendere la via dell'aeroporto. Scendo in strada, sempre sotto la pioggia, deciso a prendere il primo taxi che trovo, e (cvd!) nella più naturale e scontata applicazione della Legge di Murphy, se per 4 giorni filati e fino a pochi minuti prima i taxi ce li tiravano dietro, ora che ce ne serve uno, non lo trovo, oltretutto sotto la pioggia. Un paio addirittura si rifiutano di arrivare fino all'Aeroporto! Arrivo fin quasi al Capitolio quando un uomo mi adocchia e mi affibbia un taxi (abusivo); contrattiamo il prezzo e torniamo a prendere Gillo e bagagli. L'auto è una scassatissima Fiat 128 (o simile), ma ci accontentiamo. I bagagli neanche stanno nel baule (che non si chiude completamente) e teniamo quelli di Gillo dietro i sedili con noi.

Sotto la pioggia ormai battente partiamo alla volta dell'aeroporto, un viaggio da tregenda che impiegherà anche circa 45 minuti. Rischiamo un paio di volte la collisione con altri mezzi, ma l'autista e il suo amico seduto davanti sembrano sempre molto tranquilli e se la chiacchierano, nonostante il tergicristallo (al singolare perché c'è solo quello dalla parte dell'autista) vada una volta ogni circa 15 secondi e la pioggia non lasci veder quasi nulla della strada. Sfortuna vuole che pure il finestrino della parte dell'autista non si possa alzare per cui il povero Gillo, che gli siede dietro, si becca in faccia per tutto il tragitto diversi litri di pioggia, soprattutto quando un grosso camion ci passa di fronte inondandoci. Io rido, non posso fare altro, anche perché siamo praticamente immobilizzati vista la presenza dei bagagli e anche perché, fortunatamente, il finestrino del navigatore è alzato quanto basta.

A un certo punto, anche l'unico tergicristallo cessa di andare (anche solo per quel poco che andava) e si stacca di netto! Il nostro tassista, come se nulla fosse e senza fare una piega o fermandosi, mette una mano fuori dal finestrino, prende il tergicristallo in mano e comincia a passarlo su e giù sul vetro, mentre con l'altra mano continua tranquillamente a guidare e, naturalmente, a parlare col suo amico. Incredibili questi cubani!! Io continuo a ridere, Gillo un po' meno.

Arriviamo nei pressi dell'aeroporto e il nostro amico tassista ci avverte che, essendo abusivo, non può lasciarci proprio davanti l'entrata e ci chiede i nomi dicendoci il suo, in modo che se venissimo fermati dalla polizia possiamo sostenere di essere amici e di conoscerci già. Fortunatamente non ce n'è bisogno, arriviamo, paghiamo, ringraziamo e salutiamo e, con Gillo completamente inzuppato, guadagniamo l'ingresso dell'Aeroporto Josè Martì.


Anche l'interno dell'aeroporto è alla stregua di un acquitrino, con l'acqua che scende dal tetto e i cestini dell'immondizia piazzati qua e là negli atri per raccoglierla. Sbrighiamo le consuete procedure, paghiamo i 25CUC di tassa per lasciare l'isola e andiamo al gate di imbarco. Le condizioni meteorologiche però ci fanno temere per il peggio: a quanto pare la zona è intaccata anche se marginalmente dagli effetti dell'uragano che poi nei giorni seguenti andrà a far disastri negli Stati Uniti, e infatti puntualmente il nostro aereo risulta in ritardo.

Il salone sembra un girone d'inferno dantesco, con gente che consuma caoticamente nei bar e altra, noi compresi, che brancola da un gate all'altro in cerca di notizie, mentre sui teleschermi, quasi a voler tenerci tutti sotto controllo, fa mostra di sé il Lider Màximo intento in una lunga intervista. Altri voli che sarebbero dovuti partire prima del nostro (con altri italiani a bordo) vengono soppressi. Alla fine scopriamo che quegli aerei dovevano arrivare da Varadero, mentre il nostro parte da La Habana per cui non dovrebbe seguire la stessa sorte ma dovrebbe partire, prima o poi. Fortunatamente è così e, con un ritardo di poco meno di due ore, ci imbarchiamo, salutiamo Cuba ringraziandola per l'ultima scarica di adrenalina che ci ha voluto concedere, e decolliamo alla volta dell'Italia sempre via Madrid.

Finisce così la nostra prima avventura cubana, che ho cercato qui di raccontare, anche se non possono bastare neanche queste tre lunghe parti per farlo completamente. Cuba è davvero un paese a sé stante, unico in tutti i suoi aspetti, nella gente e nell'atmosfera che si respira. Io stesso, pur percorrendola per 20 giorni, non sono riuscito a capirla veramente fino in fondo anche se, da turista, ne sono rimasto indubbiamente affascinato. E' impossibile raccontare e spiegare esattamente Cuba, bisogna veramente viverla e, come detto, anche questo non garantisce una sua precisa comprensione.
Torneremo a Cuba? Come dice la nostra foto qui in alto "Volveran" , ovvero "torneranno".


www.zingarate.com/cuba/un-irlandese-a-cuba_pag5.html


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